La Torre dei Mori è uno dei segni architettonici più celebri di Venezia: sovrasta come un arco di trionfo l’accesso alla nevralgica via commerciale della città, l’antica Merceria. Essa è anche un elemento insieme di rottura e di connessione tra le varie parti architettoniche del complesso di Piazza S. Marco e tra le diverse funzioni urbane che da esso si diramano: le sedi del potere politico e religioso; i luoghi della rappresentanza e quelli dell’economia; l’affaccio verso il mare e l’articolazione dell’intera maglia edilizia cittadina. La torre è, insomma, con il suo grande orologio astronomico, capolavoro di tecnica e di ingegneria, un irrinunciabile elemento dell’immagine stessa di Venezia e ne segna, oramai da cinquecento anni esatti, la vita, la storia e il continuo scorrere del tempo.
La decisione di costruire un nuovo orologio pubblico nell’area marciana in sostituzione del malandato e inadeguato vecchio orologio di Sant’Alipio (sull’angolo nord-occidentale della Basilica) precede, come è noto, quella relativa alla fisica ubicazione della macchina. Risale, infatti, a una deliberazione del Senato del 1493 l’incarico a Zuan Carlo da Reggio per il nuovo orologio; è invece del 1495 la decisione circa “el loco” dove collocarla, che sarà “sopra la bocha de Marzaria“. L’anno appresso, a testimonianza di Marin Sanudo, “adì 10 zugno fu dato principio a butar zoso le caxe al intrar de Marzaria (…) per far le fondamente di un horologio multo excelente“.
Il primo di febbraio del 1499, sempre a testimonianza del Sanudo, finita la fabbrica e montato il meccanismo, “fo aperto et scoperto la prima volta l’orologio ch’è su la piaza, sopra la strada va in Marzaria, fato cum gran inzegno, e belissimo“. Si trattava del corpo verticale (quindi la vera e propria torre) che dall’arco del pianterreno sale fino alla sommità a terrazza con le statue dei mori, lungo un quadruplice ordine a scalare e sulla estensione di un’unica campata a base rettangolare di circa 9 x 6 metri. Quest’edificio si poneva come un elemento di forte novità e di radicale rottura rispetto all’assetto complessivo della Piazza, ancora ordinata sulla sostanziale cifra linguistica impostata all’epoca di Sebastiano Ziani (XII sec.) e contraddistinta dalla serialità dei celebri edifici porticati (ancora agevolmente leggibili grazie soprattutto alla testimonianza iconografica resane dal telero di Gentile Bellini con la Processione della Santa Croce).
Nei cinque anni successivi (con decisione del 1500 reiterata nel 1503) furono aggiunte alla torre le due ali laterali concluse dalla doppia terrazza balaustrata. Va notato, invece, che solo dopo un incendio del 1512 fu dato avvio al programma di completo rifacimento delle confinanti Vecchie Procuratie (iniziando a demolire l’esistente nel febbraio del 1513). La torre, insomma, per più di un decennio restò, pressochè isolata, a costituire una sorta di manifesto della nuova – e assai breve – stagione dell’architettura dell’umanesimo architettonico indigeno in Venezia (e in tale condizione essa è visibile anche in un suggestivo disegno attribuito al Carpaccio oggi in collezione privata a Zurigo). Ma anche sotto il profilo di un complessivo disegno urbano, la Torre dell’Orologio è un irrinunciabile piolo e chiave di lettura dell’intero cuore cittadino, costituendo in ciascuno dei due approcci che essa prevede (dalla Piazza e dalle Mercerie) l’obbligato e voluto fuoco spaziale e semantico: arco trionfale e straordinario oggetto monumentale di connessione tra il forum degli spazi marciani e la via dei commerci per eccellenza (e antonomasia: Mercerie); dall’altro lato, invece, altrettanto eccezionale cannocchiale prospettico verso lo scenario del potere politico, la porta marittima della città e il porto.
Una serie di ragioni più meno convincenti ha fatto sì che l’inventore della fabbrica fosse individuato in Mauro Codussi: in effetti, l’impianto degli ordini appare il medesimo che è possibile riscontare in talune opere certe del maestro, e così si può dire per non ignorabili sottolineature linguistiche; per la sicurezza, soprattutto, con la quale il disegno strutturale della Torre si impone anche alle stesse partiture di ornato (particolarmente ricche e forse eclettiche in concomitanza con i quadranti e gli apparati celebrativi e d’ornato, riferibili a vari artisti e decoratori).
A metà Settecento, ad opera di Giorgio Massari, furono aggiunte, sopra le terrazze, le soprelevazioni delle ali e le nuove ulteriori balaustre; e furono altresì inserite le otto colonne a ridurre la luce delle trabeazioni al pianterreno su progetto, quasi certamente, non già di Tommaso Temanza, come spesso si ripete, ma di un meno noto architetto Andrea Camerata. Nè l’uno nè l’altro di questi interventi ha la forza di stravolgere gravemente l’impianto orginario della fabbrica; tuttavia la lettura ne risulta disturbata e appesantito il disegno generale dell’insieme (soprattutto per la reiterazione delle finestrine binate e per la ripresa della balaustra contro il cielo).
Assai gravi furono invece le manomissioni all’interna struttura del manufatto realizzate, parallelamente a quanto avveniva alla macchina dell’orologio, a metà Ottocento: demolite le scale lignee e sostituite con scalette metalliche a chiocciola, fu abbattuta la copertura in larice e lastre di piombo per sostituirla con volte e lastre marmoree, mentre le stesse statue dei mori venivano alzate di circa un metro rispetto al loro originario livello d’appoggio. Ma anche il complessivo impianto e aspetto della Torre era destinato a subire in quest’occasione una sorta di aggiornamento strutturale e d’immagine con l’utilizzo di materiali e decori poco in linea con le origini della fabbrica.
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La Torre dell’Orologio (PDF 4518 Kb) – in breve
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